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Non è mai facile fare i conti con la propria interiorità e con le proprie fragilità. Leggere "Un giorno tutto questo" è stato come compiere un viaggio nella mia mente, lungo un percorso costellato da dolore e consapevolezza.
Il protagonista di questa storia nata dalla penna di Andrea Lerario è un maresciallo siciliano, Turi di Dio. Come mai, in una città assai tranquilla, tutt'a un tratto si verificano tre rapine in banca e un funerale insolito? Chi si cela dietro questi fatti?
Pagina dopo pagina il lettore viene accompagnato nella ricerca di dettagli e indizi che possano risolvere questi bizzarri eventi.
Tuttavia questa storia va ben oltre i misteri e le indagini che apparentemente sembrano essere il cuore del libro. Tra le righe si celano dolore, lutto, difficoltà. Ed è proprio questo il motivo per cui non è stato facile per me arrivare all'ultima pagina. In questo mese ho dovuto provare a elaborare alcuni lutti che abbiamo avuto in famiglia. Ho ritrovato in Turi quella negazione che provo in prima persona. Quella difficoltà ad accettare quanto successo. La difficoltà a percorrere i viali del cimitero tenendo gli occhi alzati. Ma alla fine Turi ce la farà, riuscirà ad alzare lo sguardo e a fare i conti con un dolore che per lungo tempo lo ha soffocato.
"Poi, com'è ovvio, c'è dolore e dolore. Il peggior mal di testa prima o poi se ne va, ma il mal di mancanza, quello, non se ne va mai. Ti s'insedia fin dentro e da dentro di erode."
Nonostante tutto, sono felice di essermi imbattuta in questo libro in questo preciso istante della mia vita. Sono sicuramente riuscita a cogliere aspetti che altrimenti - probabilmente - mi sarebbero sfuggiti.
Sarò sincera: per quanto io apprezzi le storie incentrate sulle indagini, non è il genere di libri che solitamente scelgo di leggere. Ogni tanto, però, provo il bisogno di percorrere strade diverse e di variare un po' con le letture. Questo è il motivo per cui ho deciso d'istinto di partecipare a questo meraviglioso evento.
In linea di massima il mio giudizio è più che positivo. Ho avuto inizialmente qualche difficoltà di approccio alle parti scritte in siciliano... non è un dialetto che mastico, anzi! Sicuramente, però, è stata la scelta migliore per rendere ancora di più l'idea di Racitta, una città fittizia situata sulla costa e in cui la morte è di casa, dal momento che quasi tutti gli abitanti sono decisamente molto anziani. E' quasi impossibile che vi sia un anno in cui le pompe funebri non lavorino... ma è importante sottolineare il "quasi"! Inoltre è stato bello il fatto che l'autore guidi il lettore alla scoperta di bar, negozi e altri luoghi, tra cui proprio il cimitero. Tra vicende presenti, ricordi e sogni possiamo costruire, mattone dopo mattone, un'immagine di tale luogo.
Io ho visto in Racitta la dimensione dell'inconscio: essa non esiste realmente, ma è il frutto di desideri e speranze che l'autore nutre per la propria terra. La Sicilia che vorrebbe che fosse.
Mi è venuto naturale trovare un collegamento con l'inconscio per quanto riguarda l'astrattezza, oltre al fatto che - come abbiamo detto prima - la dimensione dell'interiorità è centrale, anche per quanto riguarda i sogni e gli incubi.
In conclusione, consiglio questa lettura a tutti coloro che sono alla ricerca di un libro ricco di mistero e di azione, ma allo stesso tempo denso di emozioni e di sentimenti. Non ne rimarrete delusi!
Ciao Sara, buon anno!
RispondiEliminaI misteri mi intrigano sempre, credo che come lettura si avvicini ai generi che prediligo 🙂
Un caro saluto ♥